La storia di Gino Bartali è stata incredibile, a partire dai suoi grandiosi successi al Giro d’Italia e al Tour de France, negli anni in cui la sua rivalità con Fausto Coppi e con altri grandi campioni portò il nostro splendido sport al massimo della sua popolarità in Italia.
Per molti anni, parlando di Ginettaccio, si pensava per esempio al Tour del 1948, quando la sua clamorosa vittoria distrasse il pubblico italiano dai tragici avvenimenti riguardanti l’attentato a Palmiro Togliatti, leader politico del PCI. Oppure al leggendario scambio di borraccia avvenuto con Fausto Coppi durante una tappa del Tour de France nel 1952 sulle rampe del Col du Galibier.
Poi però sono emersi alcuni fatti legati al periodo della II guerra mondiale e allora la figura di Gino è stata collegata anche ad aspetti extrasportivi, ovvero al suo fondamentale aiuto nel salvare dalla Shoah numerose persone di confessione ebraica. Lessi per la prima volta questi fatti nel libro di Paolo Alberati “Gino Bartali, Mille diavoli in corpo” (Giunti Editore, 2006) e da allora ho cercato di approfondire ulteriormente la tematica, scrivendo diversi articoli a tal proposito.
Nel corso degli anni sono però emerse alcune perplessità rispetto alla versione ufficiale, secondo cui Bartali avrebbe trasportato documenti falsi all’interno del telaio della propria bici da portare a persone di confessione ebraica fra la Toscana e l’Umbria in modo che queste potessero fuggire allo sterminio di massa ordito dai nazifascisti.
Lo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah con sede a Gerusalemme, ha creduto fermamente nella veridicità di questa storia al punto da dichiarare il campione toscano come “Giusto tra le Nazioni” nel 2013, mentre qualcuno ha manifestato perplessità, definendo insufficienti le prove esistenti a favore di questa versione (nella foto sotto Andrea Bartali, figlio di Gino, indica il nome del padre allo Yad Vashem).

In questo articolo su BiciMtbEbike.com cercherò di ricostruire i fatti, dando spazio a entrambe le versioni. Personalmente credo nella versione ufficiale secondo cui Gino avrebbe davvero dato il proprio contributo a favore della causa ebraica durante quegli anni terribili, ma mi sembra giusto dare spazio anche alla teoria contrapposta.
Gino Bartali “Giusto tra le Nazioni” per lo Yad Vashem
Lo Yad Vashem ha dichiarato Gino Bartali “Giusto tra le Nazioni” il 23 settembre 2013 in onore del suo aiuto verso il popolo ebraico, avvenuto principalmente tra il settembre 1943 e il giugno 1944. Durante quel periodo, il campione di Ponte a Ema funse da corriere per un’organizzazione di salvataggio degli ebrei organizzata dal rabbino Nathan Cassuto e dal cardinale Elia Angelo Dalla Costa, trasportando documenti falsi nel telaio della propria bicicletta in modo che i perseguitati potessero fuggire verso luoghi più sicuri.
Contattato da Elia Angelo Dalla Costa, arcivescovo di Firenze dal 1931 al 1961, Gino Bartali entrò a far parte dell’organizzazione clandestina DELASEM (Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei) nel 1943 e fra il settembre di quell’anno e il giugno dell’anno seguente compì la sua missione umanitaria. Partendo dalla stazione di Terontola – Cortona e giungendo a volte fino ad Assisi, compì numerosi giri in sella alla sua bici trasportando documenti e fototessere all’interno dei tubi del telaio in modo che una stamperia segreta potesse poi falsificare i documenti necessari alla fuga di ebrei rifugiati.
Bartali, a cui è inoltre dedicata una stele al Giardino dei Giusti del Mondo di Padova, percorse migliaia di chilometri nascondendo quelle carte e facendo sì che, durante le possibili perquisizioni, non venissero scoperte. In alcune occasioni venne fermato dalle guardie fasciste e talvolta fu sfiorato dallo scoppio di qualche bomba. Come ha ricordato la moglie Adriana, venne anche arrestato a Firenze dalla polizia fascista e fu imprigionato nel carcere di via della Scala per tre o quattro giorni, ma ciò non lo fece demordere e proseguì nella propria opera.

Nonostante ciò, il suo grande coraggio e la sua profonda fede lo fecero proseguire in questi viaggi, rendendolo salvatore di circa 800 persone, così come dichiarato dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel 2005 durante il conferimento postumo della medaglia d’oro al merito civile. Negli anni successivi sarebbero poi giunti riconoscimenti ancor più importanti: il 2 ottobre 2011 fu infatti inserito tra i “Giusti dell’Olocausto” nel Giardino dei Giusti del Mondo di Padova, mentre il 23 settembre 2013 fu dichiarato “Giusto tra le Nazioni” dallo Yad Vashem.
Quest’ultima onorificenza è stata conferita a molti altri cittadini non ebrei, grazie al cui impegno durante la Shoah fu salvata la vita ad almeno un cittadino ebreo. E il nome di Gino Bartali, assieme a quello di questi altri eroi, è ricordato da una stele sul monte Herzl nei pressi di Gerusalemme. Infine, il 2 maggio 2018, ha ricevuto la nomina a cittadino onorario di Israele a un paio di giorni dall’inizio del Giro d’Italia proprio sulle strade della capitale.
Gino Bartali salvò davvero gli ebrei? Non ci sono prove secondo alcuni storici
Stefano Pivato, professore emerito di Storia Contemporanea presso l’Università di Urbino, aveva prima scritto un libro in cui riprendeva la teoria favorevole all’aiuto di Bartali verso la causa ebraica durante la II guerra mondiale, ma poi ha rivisto le proprie tesi e nel 2021 ha scritto il volume “L’ossessione della memoria. Bartali e il salvataggio degli ebrei: una storia inventata” (Castelvecchi Editore) assieme al figlio Marco, ex giornalista scientifico per La Stampa, deceduto nel 2022.
I due Pivato concordano dunque con l’analisi dello storico Michele Sarfatti, storico specializzato nella storia degli Ebrei in Italia nel ‘900 e nella storia della Shoah in Italia e in Europa, secondo cui la vicenda del “Bartali salvatore di ebrei” sarebbe un’invenzione, nata dal libro “Assisi clandestina. Assisi e l’occupazione nazista secondo il racconto di padre Rufino Niccacci“, scritto da Alexander Ramati nel 1978 (tradotto in italiano nel 1981 con il titolo da noi riportato).

Ramati non è altro che lo pseudonimo di David Solomonovich Grinberg, scrittore e regista ebreo polacco, il quale dichiarò di avere partecipato come cronista alla liberazione dell’Umbria nel 1944. Lì avrebbe conosciuto fra Rufino (alias Salvatore Niccacci), il quale divenne la voce narrante del volume. Secondo il romanzo, il ciclista Battaglia avrebbe avuto un ruolo fondamentale, trasportando i documenti falsi con la propria bici e in questo Battaglia si può riconoscere la figura di Gino Bartali.
Ramati commette però alcune inesattezze storiche e, restando sulla figura di Gino Bartali, il canonico della cattedrale di Assisi don Aldo Brunacci ha così commentato: “Si tratta di un vero romanzo. L’autore aveva certamente in mente un copione per un film e non poteva trovare personaggio più adatto per il suo intento e soprattutto una fantasia più fervida di quella di Padre Rufino”. In parole povere, secondo don Aldo Brunacci, Bartali non ebbe alcun ruolo in quella vicenda.
Per saperne di più e conoscere nei dettagli la teoria di Sarfatti, vi invito a leggere il suo articolo intitolato “Gino Bartali e la fabbricazione di carte di identità per gli ebrei nascosti a Firenze“.
I Pivato aggiungono inoltre di avere presentato cinque richieste di consultazione allo Yad Vashem nel 2020, senza però avere ottenuto alcuna risposta. Come mai? Sergio Della Pergola, facente parte della commissione per i Giusti tra le Nazioni, ha dichiarato che la documentazione riguardante Gino Bartali è imponente ma, esattamente come nei casi di beatificazione decretati dalla chiesa cattolica, alcuni documenti devono restare segreti.

Se le parole di Della Pergola non sono particolarmente convincenti, lo sono invece molto di più quelle di Giorgio Goldenberg, sopravvissuto assieme alla propria famiglia alle retate naziste proprio grazie a Gino Bartali, come da lui raccontato davanti alla commissione per i Giusti tra le Nazioni. I Goldenberg, in fuga da Fiume, trovarono rifugio a Firenze, in uno scantinato di via del Bandino di proprietà del ciclista.
Una conferma del ruolo fondamentale di Bartali avvenne anche grazie alla testimonianza di Sara Di Gioacchino Corcos, cognata del rabbino Nathan Cassuto, nonché da diversi documenti della curia fiorentina risalenti ai tempi del cardinale Dalla Costa. L’avvocato Renzo Ventura, trasferitosi da Firenze in Israele, ha confermato a sua volta questa versione, dicendo che i quattro documenti d’identità falsi (tuttora in suo possesso) di suo nonno, sua nonna, sua zia e sua mamma, sarebbero stati consegnati alla sua famiglia proprio da Gino, esattamente come dichiara Giulia Donati, donna fiorentina a cui il campione consegnò personalmente i documenti.
Alla memoria di Gino Bartali e del suo aiuto alla comunità ebraica durante la Shoah sono state dedicate diverse targhe in numerosi Giardini, non soltanto dunque lo Yad Vashem o Padova, ma nel lungo elenco troviamo anche le città di Aprilia, Barcellona Pozzo di Gotto, Bisceglie, Calvisano, Falconara, Firenze, Frattamaggiore, Jesi, Marcon, Marina di Pisa, Montelupone, Nichelino, Prato, Rho, Roma, Torino, Torre de’ Passeri (foto sotto), Vercelli e tante altre ancora.

Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria, ricorrenza istituita nel 2005 per commemorare le vittime dell’Olocausto. Questo articolo uscirà proprio in questa giornata, in onore di Gino Bartali e del suo aiuto alla causa ebraica durante la II guerra mondiale.
Qualcuno non crede che Gino abbia aiutato davvero quelle persone e che questa storia nasca dalla fantasia di uno scrittore e di un vecchio frate francescano? Chi lo sa, ma personalmente, come già detto al termine della parte introduttiva, penso che le testimonianze a favore del campione toscano vadano nella direzione secondo cui questi abbia veramente fornito il proprio contributo durante quel periodo.
Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca
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