Foto di Giacomo Pellizzari

Giacomo Pellizzari, scrittore milanese molto noto nel mondo del ciclismo, ci ha rilasciato un’intervista in cui abbiamo spaziato su diverse tematiche. Siamo partiti dalla sicurezza stradale e qui la posizione dell’autore di “Ma chi te lo fa fare? Sogni e avventure di un ciclista sempre in salita” è stata molto netta. Non è possibile che un ciclista debba rischiare la propria vita ogni volta in cui decide di uscire con la propria bici e, per evitare che la strage di ciclisti continui come sta avvenendo attualmente, le autorità non dovrebbero più tergiversare.

Ci siamo poi spostati sul recente lavoro di Giacomo riguardante “Destinations”, lo speciale della rivista Alvento dedicato al bikepacking e poi… gli abbiamo domandato se fosse possibile avere qualche anticipazione sul suo prossimo libro, a marzo in libreria.

Abbiamo parlato anche dei suoi obiettivi da ciclista per la nuova stagione e concluso con una domanda su quali siano le sue Granfondo preferite, quelle a cui ogni cicloamatore dovrebbe prendere parte almeno una volta nella vita. Buona lettura a tutti e un grazie speciale a Giacomo Pellizzari per averci rilasciato questa intervista!

Qual è il tuo parere e quali soluzioni sarebbero auspicabili per migliorare la sicurezza dei ciclisti sulle strade?

La questione è assolutamente attuale e al centro del dibattito. Ce n’è stato uno di recente lanciato sulle pagine del Corriere della Sera da Giangiacomo Schiavi e Beppe Severgnini in cui, in sostanza, i due giornalisti si sono complimentati tra di loro sull’idea secondo cui sarebbe il ciclista a doversi procurare la propria sicurezza dotandosi di lucine. Proprio il giorno dopo l’uscita di questo articolo è morto Davide Rebellin, in pieno giorno, investito da un camion pirata che non si è nemmeno fermato a soccorrerlo su una strada Regionale. Qualche settimana prima era invece morto un ragazzino di 14 anni, Luca Marengoni, investito da un tram a Milano mentre stava andando a scuola e pochi giorni dopo sono stati investiti due ciclisti a Ferrara. Io credo che, a questo punto, siamo di fronte a un giro di vite. Giro di vite che può essere dato in due direzioni. O nella direzione in negativo, cioè di dire “Cari ciclisti, queste sono le condizioni, se andate in bici lo fate a vostro rischio e pericolo” che poi sarebbe ciò che accade attualmente. Non ho infatti mai visto fare una multa a un automobilista che commettesse un’infrazione ai danni di un ciclista da parte di un vigile. Continuando così, sempre meno persone andranno in bici e i genitori diranno ai figli di non andarci perché è troppo pericoloso. Certo, sulle strade ci sono anche ciclisti indisciplinati, ma pensiamo all’enorme differenza tra i due mezzi. L’automobilista ha in mano un proiettile che può uccidere, il ciclista no. Al contrario, questo giro di vite può essere fatto nella direzione opposta, dove il ciclista viene riconosciuto a tutti gli effetti come un membro del traffico esattamente quanto un motociclista e allora a quel punto posso essere favorevole all’uso obbligatorio di casco, luci ed eventuali multe. Ma, prima, questo riconoscimento va fatto a suon di multe, di applicazioni di leggi che già ci sono e di introduzione di altre leggi, tipo quella riguardante il 1,5 m di distanza per il sorpasso, e presenza di pattuglie che sanzionino qualunque infrazione commessa nei confronti del ciclista con tolleranza zero. Si deve quindi partire dal ciclista e dalla sua tutela e solo dopo si può pensare a tutto il resto. Finché non si fa questo ragionamento, nulla cambierà. La risposta che spesso mi viene data dalle istituzioni è che non ci sono abbastanza soldi per stanziare queste pattuglie. Li si trovino perché qui sta andando avanti una strage e se vogliamo pensare a un futuro migliore, più vivibile, più green, bisogna diminuire le automobili e non le biciclette. Però o si va verso una direzione o verso l’altra. A me capita di pedalare in corso Buenos Aires a Milano e di vedere le pattuglie fare solo multe alle auto in sosta vietata e non a chi invece metta a rischio la vita dei ciclisti sulla ciclabile. Anzi, a dirla tutta, non ho mai visto in vita mia un automobilista multato per avere commesso un’infrazione ai danni di un ciclista. Questa situazione deve cambiare!

Per completezza di informazione, qui trovate il link del botta e risposta tra Beppe Severgnini e Giangiacomo Schiavi sulle pagine di Corriere Milano. Qui invece potete leggere il post su “Olbia, zona 30 e BiciPlan“.

Passiamo ora al tuo lavoro di scrittore. Che cos’è “Destinations” e di che cosa ti sei occupato in questo progetto?

Alvento Destinations è una pubblicazione annuale e questa è la prima in assoluto. Verrà pubblicata in diverse lingue su percorsi secondari e meno noti, soprattutto gravel, nell’Italia nascosta e infatti questo primo numero si chiama “Italy unknown”. È un progetto molto bello e ambizioso che prende un po’ spunto dalle guide delle riviste di lifestyle ed è quindi un invito, anche allo straniero, di scoprire l’Italia in bicicletta al di fuori degli itinerari più classici. Io ho scritto due capitoli di questo libro, uno sulla Valchiavenna in cui ho percorso due diversi itinerari in due giorni e uno sulla Valtellina in cui invece ne ho percorsi tre in tre giornate differenti. Ho pedalato per il 60/70% off-road, compresi anche alcuni single track molto impegnativi, sempre in sella a una gravel bike ed è stata un’esperienza fantastica. Fantastica perché scrivere immediatamente dopo avere pedalato ti consente di mettere subito a fuoco le emozioni che hai avuto e quindi, subito dopo essere sceso dalla bici e avere fatto lo shooting con il fotografo Paolo Penni Martelli – secondo me il migliore in assoluto per quanto riguarda i reportage ciclistici – tornavamo in albergo e, mentre lui editava le foto, io scrivevo il mio pezzo. È stata una modalità di lavoro molto gratificante, ne è valsa davvero la pena.
Copertina di "Italy Unknown", il primo volume di Destinations, lo speciale pubblicato da Alvento

A proposito di Italia nascosta, tu hai scritto il libro “Il ciclista curioso” con Davide Cassani. Che cosa ci puoi dire su questo volume?

“Il ciclista curioso” è un libro del 2019 edito da Rizzoli, attualmente uscito in ristampa nella collana economica di BUR, scritto a quattro mani con l’ex CT azzurro Davide Cassani. Insieme abbiamo raccolto una serie di percorsi un po’ meno noti in giro per tutta l’Italia. Percorsi per ogni tipo di ciclista, da quello che cerca di fare soltanto una pedalata e di vedere un po’ di bellezze a quello che invece si vuole cimentare con salite impegnative e magari scoprire nuovi tratti di strade più motivanti sotto il profilo della sfida. È stato molto bello scrivere questo libro con Davide perché così ho potuto passare un po’ di tempo in sua compagnia, chiacchierando e pedalando insieme sulle sue strade, cioè quelle su cui si allenava da ragazzino, tipo la salita al Monticino, quella che doveva percorrere in meno 5 minuti e che noi abbiamo percorso molto più tranquillamente in un quarto d’ora e tutte le altre nei dintorni della sua Faenza e più in generale della sua Romagna. Altri sono invece percorsi più legati a me, tipo quelli sul lago di Garda, in Umbria o sull’Etna, dove mi piace molto tornare spesso a pedalare.

Parlando di libri, ci puoi anticipare qualcosa sul tuo prossimo lavoro?

In realtà non posso anticipare nulla, se non che uscirà a marzo 2023 per Enrico Damiani Editore. Si tratta di un viaggio, una lunga pedalata su diversi percorsi, grazie a cui riscoprire un ciclista molto noto di quelle zone attraverso una sorta di macchina del tempo. È come se noi avessimo fatto un viaggio nella sua biografia pedalando sulle sue strade. Però non vi dico chi è… lo scoprirete a marzo!

Passati tre mesi dalla nostra intervista, possiamo dirvi che si tratta di “Itinerario Felice. Da Bergamo a Brescia lungo le strade di Gimondi“. Leggi qui la recensione su Itinerario Felice.

Passiamo ora al ciclismo praticato. Quali sono i tuoi obiettivi per il 2023?

Sono obiettivi ambiziosi per quanto umani, visto che non sono un ciclista professionista. Mi piacerebbe innanzitutto pedalare sul percorso di una tappa del Tour de France, per poi fermarmi il giorno dopo in salita a vedere passare i professionisti e quindi ritornare con le borse al punto di partenza. L’avrei già fatto l’anno scorso, ma il Covid mi aveva bloccato. Sarà quindi un viaggio in due o tre tappe, un format che mi affascina molto e che ho già seguito negli ultimi anni in varie occasioni. Parteciperò poi alle Granfondo che amo di più, cioè la Maratona dles Dolomites e la Ötztaler Radmarathon a Sölden in Austria. Anche questo progetto è piuttosto ambizioso visto che la prima sarà il 2 luglio e la seconda, considerata la Gf più dura in Europa, il 9 luglio. Darò quindi tutto me stesso per riuscire a concludere anche la Ötztaler, cosa che ho già fatto cinque volte, riuscendo così a meritarmi la maglia da finisher. 238 km di lunghezza per un dislivello intorno ai 5.500 metri richiedono una buona dose di coraggio e di preparazione.

A proposito di Granfondo, quali sono quelle a cui un amatore dovrebbe partecipare almeno una volta nella vita?

Intanto dipende anche da dove abita l’appassionato. Diciamo che, prendendo come base Milano – la mia città – , consiglio assolutamente la Maratona dles Dolomites. Ci sono tre tipi di percorso e il più duro prevede salite di grande fascino quali Campolongo, Pordoi, Sella, Gardena, Giau e Valparola. Durante la manifestazione le strade sono completamente chiuse al traffico e ciò dovrebbe far riflettere invece su quanto traffico vi sia durante tutti gli altri giorni dell’anno, a causa di cui la bellezza di quei luoghi risulta inficiata. Consiglierei poi, restando in Italia, la Nove Colli di Cesenatico, un evento storico, con moltissimi partecipanti e anche un po’ folkloristico, una grande festa a pedali che potremmo definire come una sorta di Woodstock per i cicloamatori. Anche qui ci sono tre percorsi diversi e l’appuntamento sarà per il 21 maggio. Un’altra bella Granfondo è sicuramente la Sportful Dolomiti Race, molto impegnativa, con due percorsi e partenza e arrivo in quel di Feltre. Il lungo è probabilmente il percorso più difficile in assoluto a livello italiano. Questa Gf porta alla scoperta delle zone un po’ meno note delle Dolomiti, altrettanto affascinanti rispetto a quelle più celebri, tra cui il passo Manghen, una salita meravigliosa. Spostandoci all’estero, bisogna assolutamente partecipare alla Marmotte Alpes in Francia, con partenza da Bourg-d’Oisans e arrivo sull’Alpe d’Huez, passando per il Col du Glandon, il Col du Télégraphe e il Col du Galibier. Altrettanto bella e sempre in Francia è la Marmotte Granfondo Pyrénées con partenza da Luz-Saint-Sauveur e arrivo un anno a Hautacam e un anno a Luz Ardiden, in cui si affrontano il Col du Tourmalet da entrambi i versanti, l’Hourquette d’Ancizan e il Col d’Aspin, tre salite mitiche del Tour de France e dei meravigliosi, selvaggi e incontaminati Pirenei.

Restiamo allora in attesa del nuovo libro di Giacomo Pellizzari, in vendita dal mese di marzo! Qui vi proponiamo infine le nostre recensioni ai suoi volumi “Tornanti e altri incantesimi” e “Generazione Peter Sagan“. In più vi invitiamo a dare un occhio al calendario Granfondo 2023. Cliccate invece qui per saperne di più su Giacomo Pellizzari.

Un pensiero su “Intervista a GIACOMO PELLIZZARI: sicurezza stradale e nuovi progetti”

Rispondi